“La donna deve guardarsi continuamente. È quasi costantemente accompagnata dall’immagine che ha di se stessa. […] Gli uomini agiscono e le donne appaiono. Gli uomini guardano le donne. Le donne si guardano mentre vengono guardate. Questo determina non solo il grosso del rapporto tra uomini e donne, ma anche il rapporto delle donne con se stesse”.
Fin da piccole, soprattutto se siamo donne, introduciamo il cosiddetto “sguardo oggettivante“, ci abituiamo all’idea di essere guardate, valutate, ci abituiamo a sentirci sempre in mostra, a preoccuparci di come saremo percepite fuori.
Camminiamo per strada e veniamo guardate, seguite, nei casi peggiori, oltre allo sguardo, si inseriscono parole e vicinanza fisica, come se dovessimo essere un “oggetto sessuale” sempre accogliente subiamo l’atto che si chiama “catcalling” che è alla base della piramide dello stupro.
Perché la donna è l’oggetto del desiderio sessuale: un corpo da guardare, usare e possedere. Così, il cinema, la televisione e l’arte hanno preso i nostri corpi e li hanno resi spettacolari.
Parlare di “sguardo maschile” significa prendere coscienza che nel mondo dell’arte, in particolare nel cinema, esiste una disparità importante tra i due sessi. Una disparità che modella significativamente il giudizio sulle registe, relegando le loro opere a un pubblico femminile.
Il “female gaze” nasce in risposta al “male gaze”: è un termine teorico cinematografico femminista che rappresenta, appunto, lo sguardo dello spettatore femminile.
Questa definizione è stata teorizzata dalla critica cinematografica femminista Laura Mulvey nell’articolo “Visual Pleasure and Narrative Cinema” (1975), in cui discute gli aspetti di voyeurismo e feticismo nello sguardo maschile eterosessuale. Con questo si intende non solo lo sguardo dello spettatore maschile, ma anche lo sguardo del personaggio maschile e del creatore maschile del film.
Nell’uso contemporaneo, il “female gaze” è usato per riferirsi alla prospettiva che una sceneggiatrice, regista o produttrice cinematografica porta in un film, che sarebbe molto diversa da una visione maschile del soggetto.
L’atto di reclamare l’obiettivo e ridefinire lo sguardo femminile di una donna verso un’altra donna è quindi più che mai un atto sovversivo, carico di implicazioni socio-politiche, ed è una delle più importanti rivoluzioni nel campo della fotografia di moda dell’ultimo decennio
Fonti